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raccolta di fiabe britanniche rare

raccolta di fiabe ritanniche rare

ecco alcune fiabe della gran bretagna e della scozia molto rare.


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C’era una volta una ragazza, figlia di contadini, così pigra che sua madre non era riuscita ad insegnarle a filare. Era molto bella, ed il suo unico passatempo
era andarsene a zonzo per i boschi o guardare i ruscelli scorrere, malgrado la madre la rimproverasse in continuazione. Un giorno la madre perse la pazienza,
le diede in mano sette matasse di lana e le disse: Dovrai filarla entro tre giorni, altrimenti ti caccerò di casa!

La ragazza capì che la madre faceva sul serio e così provò a mettersi al lavoro: ma in breve tempo le sue manine si riempirono di calli e la sua bocca,
a forza di tagliare il filo, si rovinò. Così la ragazza decise di non proseguire il lavoro e di ritornarsene a spasso.

Giunta vicino ad un torrente, vide una minuscola vecchina, tutta deforme dagli anni e dal lavoro, che filava. Siete molto brava, nonna, disse la ragazza,
non è che potreste darmi una mano con il mio lavoro?

Portamelo qui ed io ti aiuterò!, disse la vecchina. La ragazza le portò la lana e la vecchina sparì di colpo. Per un po’ la nostra protagonista la aspettò,
poi si addormentò. Si svegliò che era già verso sera, ed avvicinandosi ad una roccia vicino ad un ruscello, sentì una voce che diceva: La bimba che dorme
sulla collina non sa che il mio nome è Habetrot. Nella roccia c’era un buco: lei guardò dentro e vide che dava su una caverna in cui la piccola vecchina
stata filando tutta la sua lana, con l’aiuto di altre due minuscole vecchine come lei, deformate anche loro dagli anni e dal lavoro.

Dopo poco la vecchina uscì dalla caverna e consegnò alla ragazza la lana pronta. La ragazza tornò a casa, mangiò sette cosce di pollo che trovò vicino
al fuoco per lei e si mise a dormire. L’indomani mattina la madre fu molto contenta nel vedere che aveva fatto il lavoro e cominciò a canticchiare tra
sé: Mia figlia ha filato sette matasse di lana, mia figlia ha filato sette matasse di lana!

Un nobile di quelle terre stava andando a spasso quando sentì quella donna che cantava: si affacciò per vedere se era tutto vero, e oltre la lana filava
vide anche la figlia della donna, che era talmente bella che se ne innamorò subito e la chiese in moglie. Ma poco dopo ricominciò con la storia della lana
da filare. La ragazza, disperata, andò da Habetrot, che le disse: Porta il tuo fidanzato qui! La ragazza portò il giovane lì e si trovarono di fronte a
tre vecchine sformate. Il giovane chiese: Perché siete così brutte? Perché è una vita che filiamo! Allora il nobile decise che la sua fidanzata non avrebbe
più filato. I due ragazzi si sposarono e vissero felici e contenti, con Habetrot e le sue sorelle che si occupavano delle faccende di casa.



l’ungunto miracoloso





C’era una volta una giovane mamma, che viveva con il suo bambino in una casa sulle colline. Un giorno  stava cullando il suo piccolo e gli stava preparando
il latte, quando sentì bussare. Alla porta c’era una splendida dama con un bimbo piccolo in braccio anche lei.

Sono in viaggio da tanto tempo, disse la donna, prepara qualcosa da mangiare per me e il mio bambino!

La mamma capì che quella dama era una fata, e per questo motivo la trattò con tutti gli onori. Alla fine del pranzo, la dama disse: Voglio darti una ricompensa:
con questo unguento che ti dono, potrai far guarire persone ed animali e diventare ricca.

Per diverso tempo la mamma umana poté usufruire dei suoi poteri: ma molta gente del villaggio vicino cominciò ad essere gelosa verso di lei, e a tramare
contro lei e il suo bambino. La mamma chiese l’aiuto della fata, che le portò via l’unguento: Purtroppo la tua gente non può apprezzare un simile dono!
La mamma ritornò una donna normale ma lei e suo figlio non dimenticarono mai l’amicizia che li legava al mondo delle fate, e ad ogni luna piena si ricordarono
sempre di lasciare fuori dalla casa cibo e latte per i loro amici del Popolo Fatato.



tam lin





C’era una volta la figlia di un nobile, che si chiamava Janet. Janet aveva un carattere molto avventuroso, ed un giorno decise di uscire per andare ad
esplorare una foresta cupa che si trovava vicino a casa sua. Girovagò a lungo, finché in una radura vide delle splendide rose selvatiche e pensò di coglierle
per fare un regalo a sua madre e alle sue sorelle che non amavano andare in giro come lei. Aveva appena colto una rosa, quando venne fuori dalla terra
un giovane cavaliere, che le disse: Come osi cogliere quelle rose? Janet gli rispose: Volevo fare un regalo a mia madre e alle mie sorelle! Allora il cavaliere
rispose: In realtà, anche se devo vegliare su questa foresta, a te regalerei qualsiasi cosa. Janet gli chiese allora il suo nome e lui rispose: Mi chiamo
Tam Lin! Janet ebbe paura, perché sapeva che apparteneva al popolo degli elfi. Ma Tam Lin le raccontò la sua storia.

Io sono umano come te. Tanti anni fa, ero in questi boschi con mio zio quando fui rapito dalla Regina degli Elfi: mi sentii di colpo stanco, mi addormentai
e al mio risveglio mi trovavo nel regno degli Elfi. Da allora di giorno devo fare la guardia a questa foresta, e di notte devo tornare nel regno, dove
sono prigioniero della Regina. Vorrei tanto che qualcuno mi aiutasse a vincere quest’incantesimo!

Janet gli rispose: Vorrei aiutarti, c’è un modo per farlo?Tam Lin allora le disse: Stanotte è Halloween: il popolo degli Elfi cavalca sulla Terra. Tu vai
al crocevia prima di questa foresta ed aspettami passare. Poi aggrappati a me, e qualsiasi cosa succeda non mi lasciare!

Janet aspettò la cavalcata degli Elfi al crocevia e quando vide Tam Lin apparire, gli si buttò addosso e lo strinse a sé. Di colpo Tam Lin diventò una
piccolissima lucertola, poi un serpente spaventoso, poi una barra di ferro arroventato, ma niente: Janet non lo lasciava andare. Allora la Regina degli
Elfi capì che aveva perso.

Tam Lin rimase con Janet, la sposò e vissero per sempre felici e contenti, vicini a quella foresta magica che li aveva fatti incontrare.



il figlio del re di irlanda





C’era una volta il figlio del re d’Irlanda che si trovava a fare un giro nei boschi. Era inverno, aveva nevicato. Si punse con un rovo, e qualche goccia
di sangue cadde sulla neve, vicino ad una penna lasciata cadere da un corvo. A quel punto il principe giurò a se stesso che non si sarebbe più fermato
fin quando non avesse trovato una donna con i capelli neri come le ali del corvo, la pelle bianca come la neve e le labbra rosse come il sangue.

Iniziò a viaggiare: incontrò la famiglia di un uomo che era appena morto e non aveva soldi per pagare il funerale ed accettò di pagare lui per loro. Poi
incontrò uno gnomo minacciato da un’enorme aquila e lo salvò. Lo gnomo chiese di essere preso al suo servizio, chiedendogli in cambio solo il primo bacio
della moglie del principe, quando l’avesse trovata. Il principe acconsentì.

Più avanti incontrarono un uomo con un fucile in mano. Lo gnomo disse al principe di prenderlo al suo servizio, in cambio di un terreno per la sua casa.
Il principe acconsentì.

Poi più avanti incontrarono un uomo appoggiato all’erba con l’orecchio: anche qui lo gnomo propose al principe di prenderlo al suo servizio in cambio di
un po’ di terreno per la sua casa. Il principe acconsentì di nuovo.

Poi incontrarono ancora un uomo che faceva girare le pale di un mulino a vento semplicemente soffiando: anche qui lo gnomo gli propose di prenderlo al
servizio, in cambio sempre di un po’ di terreno per la sua casa. Il principe acconsentì di nuovo.

Alla fine trovarono ancora un uomo che spaccava la legna con un solo piede. Di nuovo lo gnomo propose al principe di portarlo con sé, in cambio sempre
di un po’ di terreno. Il principe acconsentì di nuovo.

Giunsero infine in un villaggio su cui incombeva un cupo castello: chiesero agli abitanti chi ci viveva, e gli fu risposto che viveva un gigante che teneva
prigioniera una splendida principessa, dalla pelle bianca come la neve, dai capelli neri come l’ala del corvo e dalle labbra rosse come il sangue.

Il principe decise di liberarla ed andò a bussare alla porta del castello. Il gigante gli disse: Potrai avere la principessa solo se supererai tutte le
prove a cui ti sottoporrò: in caso contrario morirai!

Come prima cosa, lo portò di fronte a tre bersagli che si muovevano in continuazione: Centrali perfettamente, altrimenti morirai! A quel punto comparve
l’uomo con il fucile in mano, che fece per lui il lavoro.

Poi allora il gigante gli disse: Attaccati al terreno, e dimmi di cosa stanno parlando le formiche! L’uomo appoggiato all’erba con l’orecchio riferì tutto.

Allora il gigante disse: Seminami con l’aiuto di un soffio tuo tutti questi semi! L’uomo che faceva girare le pale del mulino a vento fece lui tutto il
lavoro.

Allora il gigante portò il principe in una foresta e gli disse ancora: Tagliami tutti questi alberi in mezz’ora! L’uomo che spaccava la legna con il piede
si occupò lui stesso di questo.

Allora il gigante disse: Hai vinto, puoi andare a baciare la tua fidanzata! Ma lo gnomo ricordò la promessa del primo bacio, ed entrò lui dalla principessa,
che era su un trono circondata da decine di serpenti velenosi. Lo gnomo eliminò tutti i serpenti e poi fece entrare il principe.

Ti ringrazio di avermi aiutato, disse il principe. Non ti preoccupare, rispose lo gnomo, sono io che ti devo ringraziare: io sono lo gnomo protettore della
famiglia che tu hai aiutato pagando il funerale, e ti ho voluto ricompensare per la tua generosità. Ti auguro di essere felice per sempre.

Il principe d’Irlanda tornò a casa con la sua fidanzata, la sposò e vissero felici e contenti. E lo gnomo? Da allora protesse la famiglia del suo nuovo
benefattore.



tom moore e la donna foca





C’era una volta in un villaggio sul mare un giovane pescatore che si chiamava Tom Moore: era rimasto orfano e da tempo stava cercando una moglie, ma malgrado
fosse un ragazzo bello ed intelligente non riusciva a trovare nessuna fidanzata. Un mattino, all’alba, vide su uno scoglio vicino a casa sua la più bella
donna che avesse mai visto. Se ne innamorò immediatamente.

Stava salendo l’alta marea e Tom ebbe paura che la ragazza affogasse. La chiamò, ma lei si buttò in acqua e scomparve dalla sua vista. Per tutto il giorno
Tom pensò a lei, senza riuscire a lavorare. Il mattino dopo la rivide: a terra, vicino a lei, c’era una pelle di foca. Subito Tom prese la pelle di foca:
lei disse di restituirgliela, ma lui rifiutò: aveva sentito parlare delle donne foche e sapeva che non doveva ridare loro la pelle per nessuna ragione,
altrimenti le avrebbe perse.

La ragazza accettò allora di andare a casa con lui e di diventare sua moglie. La pelle della foca finì nascosta sotto una cassapanca. Passarono gli anni
e dal matrimonio nacquero tre bei bambin, ma con una membrana di foche tra le dita delle manii.

Un giorno, anni dopo, scoppiò una tempesta che allagò la casa. Tom e la moglie si misero a lavorare alacremente per tirare fuori l’acqua. Ad un tratto,
da sotto la cassapanca venne fuori la pelle di foca. La moglie guardò Tom con aria triste, prese la pelle e si buttò in mare. Non fece più ritorno, ma
continuò a proteggere Tom e i suoi bambini, mandando loro cibo e fortuna. Si dice inoltre che i discendenti di Tom vivano ancora lì e di tanto in tanto
nasca qualcuno con la membrana tra le dita delle mani o dei piedi.



leggende della toscana

le colline metallifere





Le Colline Metallifere

Un giorno il diavolo, in una delle sue escursioni per il mondo, in cerca di anime da portare all’inferno, arrivò sulle Colline Metallifere e si guardò
attorno.

«Non c’è nulla, qui, per me?».

Tutta brava gente laboriosa!

Coglievano castagne e cacciavano cinghiali nelle selve, dissodavano con l’aratro la terra rossa; i butteri conducevano i buoi al pascolo o scavavano la
terra in cerca di torba.

«Peuh!» disse il diavolo indignato «sono poveri e non rubano neppure!».

Allora pensò di vendicarsi. 

«Porterò io un po’ d’inferno in questa terra benedetta» decise.

Sprofondò sottoterra e cominciò a soffiare.

«Che cosa succede ora?» si domandavano spaventati gli abitanti.

Dalla terra uscivano spruzzi d’acqua bollente, sibilava il vapore, fiumi puzzolenti toglievano il respiro… una nube opaca ottenebrava l’aria.

«Noi non abbiamo fatto niente di male… non dobbiamo temere niente!» conclusero finalmente gli abitanti. «Se Dio l’ha permesso, anche questo strano fenomeno
servirà a qualcosa». E pacifici si rimisero al lavoro.

Ma poi pensarono che forse si poteva utilizzare anche un così strano fenomeno della natura.

Fabbricarono delle grosse cupole in muratura che coprivano i soffioni imbrigliandone così il vapore, e ne ricavarono l’acido borico.

Quando il diavolo vide che quella gente straordinaria, dalle sorgenti d’inferno traeva ricchezze, sprofondò con un urlo di rabbia nel suo regno.

Ma i soffioni rimasero, con le centrali elettriche a cui danno vita, e le fabbriche che sorgono sempre più numerose nei dintorni sembrano innalzare un
inno ai prodigi del lavoro e della tecnica umana.

leggenda di re rachis





“… una mattina … Rachis si avventurò, solo, per un sentiero del tutto ignoto e inesplorato… gli apparve, tutto ad un tratto, su un cocuzzolo un po’
fuor di mano, una cerva meravigliosa… Disperatamente la inseguì, lei avanti e lui indietro… Finchè si trovò in un bellissimo pianoro, tutto soffice
di erbe e di fiori sotto i castagni … Fu appunto sotto il piu grosso di questi che la cerva si fermò… Ma subito il castagno sfavillò… ed una voce
che non si capiva bene da dove venisse: – Non uccidere, – gridò – non uccidere, oh re, se ti è cara la corona del Regno Celeste-… Rachis… vide che
sul castagno come sopra un trono, c’era un Re differente da tutti re della terra… – Chi sei tu? Chi sei tu? – mormorava con un filo di voce rimastagli
nella gola, Rachis, senza muoversi. – lo sono il re dei re, il dominatore dei dominatori io ti comando, o Rachis, di costruire su questo Iuogo una chiesa
in mio onore! – … Da quel giorno il re cacciatore… si mise addosso un ruvido vestito di saio, si strinse la vita di una cintura di cuoio e comincio
a scavar le fondamenta intorno al fortunato castagno… Siccome lo stare nelle celluzze di legno non era troppo igienico, pensarono di costruirsi un’abbazia
accanto alla chiesa: e I’abbazia nacque grande, meravigliosa…”



villa rondinella





“… La villa sorge un po’ fuori Buonconvento, su una collinetta isolata, lungo I’attuale S.S. n. 2 Cassia, in antico la via Francigena cosi ricca di storia,
costruita intorno al 1910 in stile liberty, da un giovane facoltoso, poco più che ventenne, culturalmente preparato ed anche sfortunato. Sembra che la
Rondinella fosse dedicata ad una donna sconosciuta localmente, forse a coronamento di un sogno d’amore, che lo sfortunato giovane non riuscì a realizzare
e sembra che la costruzione della villa abbia assorbito tutte le risorse finanziarie del giovane signore costringendolo a venderla ad uno zio ancor prima
di averla completata. Forse per la sfortuna che aveva colpito il giovane, forse la figura idealizzata della giovane donna sconosciuta, alimentarono la
fantasia popolare del tempo che volle la Rondinella invasa da fantasmi…”



la morte di arrigo settimo




“Arrigo VII di Lussemburgo cessò di vivere a Buonconvento il 24 agosto 1313: sebbene la malattia che affliggeva I’imperatore risalisse ai tempi dell’assedio,
la morte di lui colse tutti di sorpresa. La voce di un suo avvelenamento si diffuse piuttosto rapidamente. Si disse che un frate domenicano lo avesse avvelenato
con I’ostia consacrata durante la comunione. Solo alcuni anni dopo la sua morte alcuni personaggi che furono al suo seguito e Giovanni re di Boemia, figlio
di Arrigo Vll, confermarono che la morte fu causata da malattia, ma restò sempre il sospetto.”

la magia di pagliarese





Presso la fattoria di Pagliarese, secondo la tradizione, si trovava una donna in grado di sistemare le fratture e di guarire dalle malattie piu strane.
Era una maga “gentile e complimentosa, aveva le mani d’oro ed era sempre con tanti clienti che sapevano aspettare per ore il loro turno”



il fantasma di bettino





“La nonna raccontava sempre che la povera nonna sua che era stata al funerale, che a un certo punto dice, chi portava la bara, a un certo punto, dice,
gli volava, in venti uomini non la reggevano, a un certo punto gli toccava metterla in terra perche spiombava. Ora poi quando morì, al castello lo rivedevano
continuamente. Dice c’era una tavola apparecchiata che non ci stava apparecchiata. L’apparecchiavano e bruummm! Gli buttava in terra ogni cosa. E allora
insomma non ci potevano vivere al castello in questa maniera.Allora un frate gli disse: questa e un’anima dannata, non puo restare qui, bisogna confinarla
in qualche posto! E allora decisero di confinarla nel “borro delle Ripi”. (da A. Orlandini, II fantasma di Bettino, racconto 9). “II fantasma (…) io
so che lo rivedevano, lo risentivano passa con la cavalla pe’ ‘I paese ‘I castello. lo poi so che, ho sentito dire che la su’ moglie I’aveva riveduto in
camera. Ma sai, cose che io I’ho sentite dire. Dicevano che lo rivedevano sulle mura a cavallo.”



la palude delle streghe





A sud di Chiusdino si trova la palude di Sant’Andrea, un Iuogo dove, secondo la tradizione, usavano nascondersi le streghe. “Le streghe si nascondevano
nella palude o nel bosco… si racconta di molti poveri cristiani scomparsi senza che si ritrovasse nemmeno un osso”.



il mito di chimera





Chimera Suo padre fu Tifone, il cui corpo gigantesco culminava in cento teste di drago. Giace relegato sotto una delle isole vulcaniche della nostra terra
(Ischia o la Sicilia), ancora fremente della rabbia che lo porto’ un giorno lontano a sfidare gli dei, a cacciarli dall’Olimpo ed a ferire Zeus. Sua madre
fu Echidna, la vipera, per meta’ donna bellissima e per meta’ orribile serpente maculato. Viveva in un antro delle terre di Lidia, cibandosi della carne
degli sventurati viaggiatori. Chimera e’ solo uno degli esseri mostruosi generati da Tifone ed Echidna. Suoi fratelli furono Cerbero, cane infernale dalle
tre teste, la famosa Idra uccisa da Eracle, e Ortro feroce cane a due teste guardiano delle mandrie del gigante Gerione. Chimera e’ la personificazione
della Tempesta, la sua voce e’ il tuono. Molte e diverse sono le rappresentazioni iconografiche del mostro leggendario. Probabilmente ad Esiodo (Teogonia)
si ispiro’ l’artista che la raffiguro’ a Cerveteri con tre teste frontali, le cui due laterali di leone e di drago e la centrale di capra. All’Iliade invece
sembra ispirato l’artefice della Chimera di Arezzo, leone davanti, capra sul dorso e serpente dietro. “Lion la testa, il petto capra, e drago la coda;
e dalla bocca orrende vampe vomitava di foco … (Iliade, VI, 223-225 trad.V.Monti) Il mito di Chimera Chimera fu allevata dal re Amissodore e per lunghi
anni terrorizzo’ le coste dell’ attuale Turchia, seminando distruzioni e pestilenze. Fu Bellerofonte, eroe da molti ritenuto figlio del dio Poseidone,
a fermare le scorribande del mitico mostro. Con l’aiuto di Pegaso Bellerofonte riusci a sconfiggere Chimera con le sue stesse, terribili, armi, infatti
“…non c’era freccia o lancia che avrebbe presto potuto ucciderla.” 1 Allora Bellerofonte immerse la punta del giavellotto nelle fauci della belva, il
fuoco che ne usciva sciolse il piombo che uccise l’animale. Come gia’ aveva fatto Perseo con Medusa, anche Bellerofonte abilmente seppe sconfiggere la
creatura facendo si’ che la sua forza si ritorcesse contro di lei. La Chimera d’Arezzo Capolavoro in bronzo della scultura etrusca (V-IV sec.a.C.). Fu
scoperta nel 1553 nelle campagne di Arezzo e restaurata da Benvenuto Cellini, fu conservata per un periodo in Palazzo Vecchio dove Cosimo I dei Medici
la volle accanto al proprio trono, fu poi spostata nella villa medicea di Castello perche’ la sua presenza in Palazzo Vecchio era ritenuta funesta. L’originale
e’ adesso conservato al Museo Archeologico di Firenze mentre sono visibili due copie bronzee leggermente piu’ grandi, collocate nella prima meta’ di questo
secolo ad ornare le due fontane in piazza della Stazione ad Arezzo. “Khimaira” Chimera prende il nome dalla caratteristica che la diversifica dai genitori,
la testa di capra infatti non trova riscontro ne’ in Tifone ne’ in Echidna e ne diviene cosi’ tratto peculiare. “Infatti Chimera, in greco Khimaira, significa
capra”2. E “la capra e’ …il piu’ selvatico tra i domestici e il piu’ domestico tra gli animali selvatici.” Ed e’ in quest’ottica che si indicano tre
significati simboleggiati da Chimera: il leone e’ la forza, il calore e quindi l’estate; il serpente e’ la terra, l’oscurita’ e quindi l’inverno, la vecchiaia;
la capra e’ il passaggio, la transizione e quindi autunno e primavera. E sempre in quest’ottica si legge la dedica a Tinia, il mutevole Giove etrusco,
iscritta sulla zampa anteriore destra della Chimera. “Non sia da meravigliarsi quindi che al sommo dio degli etruschi, principio cangiante di ogni cosa,
venisse dedicata la multiaspetto velocissima Chimera”.



leggenda del lupo, del pecoraio e del castagno della madonna





… il castagno della Madonna è… su… verso la Montagna.”Raccontano i vecchi che un povero pastorello, trovandosi solo con le pecore per quelle alture,
udì l’urlo di un lupo affamato. Impallidire, sentirsi diacciare il sangue nelle vene, pensare che via di salvezza non c’era, vedersi già azzannato e sbranato
dalla bestia inferocita e raccomandar l’anima a Dio, fu cosa di un istante per il pastorello. Chiamò a raccolta, con lo zufolo, il gregge e, così tremante
e pregante, si raccolse con le miti bestiole al tronco di un grosso castagno, che aveva già copia di fronde. L’urlo si avvicinava, e il lupo non tardò
a comparire, con un balzo, da un greppo: aveva sentito chi sa di dove l’odore della carne e, con l’istinto del fiuto, era in pochi salti venuto al luogo
ove poteva sfamare la fame vorace.Quando fu in vista del pastore e del gregge, sostò un momento, anelante, con le fauci spalancate, la lingua fuori, gli
occhi gialligni e lucenti, come per sincerarsi della bella preda che gli si offriva senza contrasto; e, con un nuovo urlo famelico fece l’atto di spiccare
un altro salto: era la morte sicura per il pastorello e le pecore.In quel mentre, però, che succede?Tutti i rami frondosi del castagno improvvisamente
si curvano fino a toccare la terra e formano una cupola folta, nascondono e proteggono il piccolo pastore e le pecore.Il lupo urla più che mai famelico
e inferocito, e si aggira spaventosamente intorno alla cupola misteriosa che gli impedisce di sbramar la fame.Dà l’assalto, ma le sue zampe non possono
aprire il varco nell’intrico denso di rami e foglie: morde, strappa, ma la sua rapina si annienta contro il prodigio del cielo. Infine, stremato di forze,
estenuato dalla vana rabbia e più dalla real fame, si allontana.Allora i rami del castagno si rialzano, tornano come prima; e il pastorello e il gregge,
sani e salvi, possono riprendere il sentiero della discesa per ritornare alla capanna e all’ovile.



il caprone diabolico





Una mattina, un uomo di Fornovolasco, andò al mercato di Massa per comprare un vitello. Mentre tornava a casa, con il vitello sulle spalle, ragionava su
come era stato bravo a raggirare con l’astuzia il venditore. Ma più ragionava più il vitello cresceva ed aumentava di peso. Così decise di fermarsi alla
chiesetta di Sant’Anna per riposare. L’uomo si rese conto che il vitello era diventato un grosso caprone, che era in realtà il diavolo stesso. L’animale
fuggì nel bosco lasciando dietro di sè striscie di fuoco. L’uomo, terrorizzato, corse in paese e raccontò il fatto ad i suoi compaesani i quali decisero
di dare la caccia al diavolo, ma non lo trovarono; però notarono che sul muro della chiesetta di Sant’Anna era apparsa un’impronta nera di animale. Provarono
a mandarla via ma non ci riuscirono, essa riappariva sempre!



il violinista al ballo delle streghe





Un pastore di Fornovolasco, che era un bravo violinista, una notte venne svegliato da due streghe che lo portarono ad una festa a “Pian delle Noci”. Quando
egli arrivò si rese conto di essere circondato da streghe, che iniziarono a ballare come pazze non appena l’uomo iniziò a suonare. Di tanto in tanto gettavano
al violinista delle monete. Verso le quattro le streghe si dileguarono nell’aria in direzione delle vette delle Apuane, e l’uomo tornò a casa a dormire.
Al risveglio decise di contare le monete, ma si accorse che si erano trasformate in sterco di capra.



ecco alcune leggende della toscana.