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blog|informatica, storia, novelle ecc



leggende della toscana

le colline metallifere





Le Colline Metallifere

Un giorno il diavolo, in una delle sue escursioni per il mondo, in cerca di anime da portare all’inferno, arrivò sulle Colline Metallifere e si guardò
attorno.

«Non c’è nulla, qui, per me?».

Tutta brava gente laboriosa!

Coglievano castagne e cacciavano cinghiali nelle selve, dissodavano con l’aratro la terra rossa; i butteri conducevano i buoi al pascolo o scavavano la
terra in cerca di torba.

«Peuh!» disse il diavolo indignato «sono poveri e non rubano neppure!».

Allora pensò di vendicarsi. 

«Porterò io un po’ d’inferno in questa terra benedetta» decise.

Sprofondò sottoterra e cominciò a soffiare.

«Che cosa succede ora?» si domandavano spaventati gli abitanti.

Dalla terra uscivano spruzzi d’acqua bollente, sibilava il vapore, fiumi puzzolenti toglievano il respiro… una nube opaca ottenebrava l’aria.

«Noi non abbiamo fatto niente di male… non dobbiamo temere niente!» conclusero finalmente gli abitanti. «Se Dio l’ha permesso, anche questo strano fenomeno
servirà a qualcosa». E pacifici si rimisero al lavoro.

Ma poi pensarono che forse si poteva utilizzare anche un così strano fenomeno della natura.

Fabbricarono delle grosse cupole in muratura che coprivano i soffioni imbrigliandone così il vapore, e ne ricavarono l’acido borico.

Quando il diavolo vide che quella gente straordinaria, dalle sorgenti d’inferno traeva ricchezze, sprofondò con un urlo di rabbia nel suo regno.

Ma i soffioni rimasero, con le centrali elettriche a cui danno vita, e le fabbriche che sorgono sempre più numerose nei dintorni sembrano innalzare un
inno ai prodigi del lavoro e della tecnica umana.

leggenda di re rachis





“… una mattina … Rachis si avventurò, solo, per un sentiero del tutto ignoto e inesplorato… gli apparve, tutto ad un tratto, su un cocuzzolo un po’
fuor di mano, una cerva meravigliosa… Disperatamente la inseguì, lei avanti e lui indietro… Finchè si trovò in un bellissimo pianoro, tutto soffice
di erbe e di fiori sotto i castagni … Fu appunto sotto il piu grosso di questi che la cerva si fermò… Ma subito il castagno sfavillò… ed una voce
che non si capiva bene da dove venisse: – Non uccidere, – gridò – non uccidere, oh re, se ti è cara la corona del Regno Celeste-… Rachis… vide che
sul castagno come sopra un trono, c’era un Re differente da tutti re della terra… – Chi sei tu? Chi sei tu? – mormorava con un filo di voce rimastagli
nella gola, Rachis, senza muoversi. – lo sono il re dei re, il dominatore dei dominatori io ti comando, o Rachis, di costruire su questo Iuogo una chiesa
in mio onore! – … Da quel giorno il re cacciatore… si mise addosso un ruvido vestito di saio, si strinse la vita di una cintura di cuoio e comincio
a scavar le fondamenta intorno al fortunato castagno… Siccome lo stare nelle celluzze di legno non era troppo igienico, pensarono di costruirsi un’abbazia
accanto alla chiesa: e I’abbazia nacque grande, meravigliosa…”



villa rondinella





“… La villa sorge un po’ fuori Buonconvento, su una collinetta isolata, lungo I’attuale S.S. n. 2 Cassia, in antico la via Francigena cosi ricca di storia,
costruita intorno al 1910 in stile liberty, da un giovane facoltoso, poco più che ventenne, culturalmente preparato ed anche sfortunato. Sembra che la
Rondinella fosse dedicata ad una donna sconosciuta localmente, forse a coronamento di un sogno d’amore, che lo sfortunato giovane non riuscì a realizzare
e sembra che la costruzione della villa abbia assorbito tutte le risorse finanziarie del giovane signore costringendolo a venderla ad uno zio ancor prima
di averla completata. Forse per la sfortuna che aveva colpito il giovane, forse la figura idealizzata della giovane donna sconosciuta, alimentarono la
fantasia popolare del tempo che volle la Rondinella invasa da fantasmi…”



la morte di arrigo settimo




“Arrigo VII di Lussemburgo cessò di vivere a Buonconvento il 24 agosto 1313: sebbene la malattia che affliggeva I’imperatore risalisse ai tempi dell’assedio,
la morte di lui colse tutti di sorpresa. La voce di un suo avvelenamento si diffuse piuttosto rapidamente. Si disse che un frate domenicano lo avesse avvelenato
con I’ostia consacrata durante la comunione. Solo alcuni anni dopo la sua morte alcuni personaggi che furono al suo seguito e Giovanni re di Boemia, figlio
di Arrigo Vll, confermarono che la morte fu causata da malattia, ma restò sempre il sospetto.”

la magia di pagliarese





Presso la fattoria di Pagliarese, secondo la tradizione, si trovava una donna in grado di sistemare le fratture e di guarire dalle malattie piu strane.
Era una maga “gentile e complimentosa, aveva le mani d’oro ed era sempre con tanti clienti che sapevano aspettare per ore il loro turno”



il fantasma di bettino





“La nonna raccontava sempre che la povera nonna sua che era stata al funerale, che a un certo punto dice, chi portava la bara, a un certo punto, dice,
gli volava, in venti uomini non la reggevano, a un certo punto gli toccava metterla in terra perche spiombava. Ora poi quando morì, al castello lo rivedevano
continuamente. Dice c’era una tavola apparecchiata che non ci stava apparecchiata. L’apparecchiavano e bruummm! Gli buttava in terra ogni cosa. E allora
insomma non ci potevano vivere al castello in questa maniera.Allora un frate gli disse: questa e un’anima dannata, non puo restare qui, bisogna confinarla
in qualche posto! E allora decisero di confinarla nel “borro delle Ripi”. (da A. Orlandini, II fantasma di Bettino, racconto 9). “II fantasma (…) io
so che lo rivedevano, lo risentivano passa con la cavalla pe’ ‘I paese ‘I castello. lo poi so che, ho sentito dire che la su’ moglie I’aveva riveduto in
camera. Ma sai, cose che io I’ho sentite dire. Dicevano che lo rivedevano sulle mura a cavallo.”



la palude delle streghe





A sud di Chiusdino si trova la palude di Sant’Andrea, un Iuogo dove, secondo la tradizione, usavano nascondersi le streghe. “Le streghe si nascondevano
nella palude o nel bosco… si racconta di molti poveri cristiani scomparsi senza che si ritrovasse nemmeno un osso”.



il mito di chimera





Chimera Suo padre fu Tifone, il cui corpo gigantesco culminava in cento teste di drago. Giace relegato sotto una delle isole vulcaniche della nostra terra
(Ischia o la Sicilia), ancora fremente della rabbia che lo porto’ un giorno lontano a sfidare gli dei, a cacciarli dall’Olimpo ed a ferire Zeus. Sua madre
fu Echidna, la vipera, per meta’ donna bellissima e per meta’ orribile serpente maculato. Viveva in un antro delle terre di Lidia, cibandosi della carne
degli sventurati viaggiatori. Chimera e’ solo uno degli esseri mostruosi generati da Tifone ed Echidna. Suoi fratelli furono Cerbero, cane infernale dalle
tre teste, la famosa Idra uccisa da Eracle, e Ortro feroce cane a due teste guardiano delle mandrie del gigante Gerione. Chimera e’ la personificazione
della Tempesta, la sua voce e’ il tuono. Molte e diverse sono le rappresentazioni iconografiche del mostro leggendario. Probabilmente ad Esiodo (Teogonia)
si ispiro’ l’artista che la raffiguro’ a Cerveteri con tre teste frontali, le cui due laterali di leone e di drago e la centrale di capra. All’Iliade invece
sembra ispirato l’artefice della Chimera di Arezzo, leone davanti, capra sul dorso e serpente dietro. “Lion la testa, il petto capra, e drago la coda;
e dalla bocca orrende vampe vomitava di foco … (Iliade, VI, 223-225 trad.V.Monti) Il mito di Chimera Chimera fu allevata dal re Amissodore e per lunghi
anni terrorizzo’ le coste dell’ attuale Turchia, seminando distruzioni e pestilenze. Fu Bellerofonte, eroe da molti ritenuto figlio del dio Poseidone,
a fermare le scorribande del mitico mostro. Con l’aiuto di Pegaso Bellerofonte riusci a sconfiggere Chimera con le sue stesse, terribili, armi, infatti
“…non c’era freccia o lancia che avrebbe presto potuto ucciderla.” 1 Allora Bellerofonte immerse la punta del giavellotto nelle fauci della belva, il
fuoco che ne usciva sciolse il piombo che uccise l’animale. Come gia’ aveva fatto Perseo con Medusa, anche Bellerofonte abilmente seppe sconfiggere la
creatura facendo si’ che la sua forza si ritorcesse contro di lei. La Chimera d’Arezzo Capolavoro in bronzo della scultura etrusca (V-IV sec.a.C.). Fu
scoperta nel 1553 nelle campagne di Arezzo e restaurata da Benvenuto Cellini, fu conservata per un periodo in Palazzo Vecchio dove Cosimo I dei Medici
la volle accanto al proprio trono, fu poi spostata nella villa medicea di Castello perche’ la sua presenza in Palazzo Vecchio era ritenuta funesta. L’originale
e’ adesso conservato al Museo Archeologico di Firenze mentre sono visibili due copie bronzee leggermente piu’ grandi, collocate nella prima meta’ di questo
secolo ad ornare le due fontane in piazza della Stazione ad Arezzo. “Khimaira” Chimera prende il nome dalla caratteristica che la diversifica dai genitori,
la testa di capra infatti non trova riscontro ne’ in Tifone ne’ in Echidna e ne diviene cosi’ tratto peculiare. “Infatti Chimera, in greco Khimaira, significa
capra”2. E “la capra e’ …il piu’ selvatico tra i domestici e il piu’ domestico tra gli animali selvatici.” Ed e’ in quest’ottica che si indicano tre
significati simboleggiati da Chimera: il leone e’ la forza, il calore e quindi l’estate; il serpente e’ la terra, l’oscurita’ e quindi l’inverno, la vecchiaia;
la capra e’ il passaggio, la transizione e quindi autunno e primavera. E sempre in quest’ottica si legge la dedica a Tinia, il mutevole Giove etrusco,
iscritta sulla zampa anteriore destra della Chimera. “Non sia da meravigliarsi quindi che al sommo dio degli etruschi, principio cangiante di ogni cosa,
venisse dedicata la multiaspetto velocissima Chimera”.



leggenda del lupo, del pecoraio e del castagno della madonna





… il castagno della Madonna è… su… verso la Montagna.”Raccontano i vecchi che un povero pastorello, trovandosi solo con le pecore per quelle alture,
udì l’urlo di un lupo affamato. Impallidire, sentirsi diacciare il sangue nelle vene, pensare che via di salvezza non c’era, vedersi già azzannato e sbranato
dalla bestia inferocita e raccomandar l’anima a Dio, fu cosa di un istante per il pastorello. Chiamò a raccolta, con lo zufolo, il gregge e, così tremante
e pregante, si raccolse con le miti bestiole al tronco di un grosso castagno, che aveva già copia di fronde. L’urlo si avvicinava, e il lupo non tardò
a comparire, con un balzo, da un greppo: aveva sentito chi sa di dove l’odore della carne e, con l’istinto del fiuto, era in pochi salti venuto al luogo
ove poteva sfamare la fame vorace.Quando fu in vista del pastore e del gregge, sostò un momento, anelante, con le fauci spalancate, la lingua fuori, gli
occhi gialligni e lucenti, come per sincerarsi della bella preda che gli si offriva senza contrasto; e, con un nuovo urlo famelico fece l’atto di spiccare
un altro salto: era la morte sicura per il pastorello e le pecore.In quel mentre, però, che succede?Tutti i rami frondosi del castagno improvvisamente
si curvano fino a toccare la terra e formano una cupola folta, nascondono e proteggono il piccolo pastore e le pecore.Il lupo urla più che mai famelico
e inferocito, e si aggira spaventosamente intorno alla cupola misteriosa che gli impedisce di sbramar la fame.Dà l’assalto, ma le sue zampe non possono
aprire il varco nell’intrico denso di rami e foglie: morde, strappa, ma la sua rapina si annienta contro il prodigio del cielo. Infine, stremato di forze,
estenuato dalla vana rabbia e più dalla real fame, si allontana.Allora i rami del castagno si rialzano, tornano come prima; e il pastorello e il gregge,
sani e salvi, possono riprendere il sentiero della discesa per ritornare alla capanna e all’ovile.



il caprone diabolico





Una mattina, un uomo di Fornovolasco, andò al mercato di Massa per comprare un vitello. Mentre tornava a casa, con il vitello sulle spalle, ragionava su
come era stato bravo a raggirare con l’astuzia il venditore. Ma più ragionava più il vitello cresceva ed aumentava di peso. Così decise di fermarsi alla
chiesetta di Sant’Anna per riposare. L’uomo si rese conto che il vitello era diventato un grosso caprone, che era in realtà il diavolo stesso. L’animale
fuggì nel bosco lasciando dietro di sè striscie di fuoco. L’uomo, terrorizzato, corse in paese e raccontò il fatto ad i suoi compaesani i quali decisero
di dare la caccia al diavolo, ma non lo trovarono; però notarono che sul muro della chiesetta di Sant’Anna era apparsa un’impronta nera di animale. Provarono
a mandarla via ma non ci riuscirono, essa riappariva sempre!



il violinista al ballo delle streghe





Un pastore di Fornovolasco, che era un bravo violinista, una notte venne svegliato da due streghe che lo portarono ad una festa a “Pian delle Noci”. Quando
egli arrivò si rese conto di essere circondato da streghe, che iniziarono a ballare come pazze non appena l’uomo iniziò a suonare. Di tanto in tanto gettavano
al violinista delle monete. Verso le quattro le streghe si dileguarono nell’aria in direzione delle vette delle Apuane, e l’uomo tornò a casa a dormire.
Al risveglio decise di contare le monete, ma si accorse che si erano trasformate in sterco di capra.



ecco alcune leggende della toscana.